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Quando parliamo di obiettivi personali relativi alla gestione della quotidianità, possiamo trovare molte rubriche in cui ci sono i consigli dello psicologo. Dunque lo psicologo dà consigli? È, questo, un argomento su cui mi sono già soffermata in passato, parlando delle pillole di psicologia; oggi però voglio soffermarmi sui consigli, e sul loro rapporto con i nostri buoni propositi ed obiettivi personali.
La risposta canonica è: no, lo psicologo, di consigli, non ne dà; ad alcune persone questa risposta va bene, ad altre no. Per quale motivo, dottoressa, non può consigliarmi cosa fare? Il motivo è che il mio consiglio probabilmente andrebbe bene per me, ma non sono affatto certa vada bene per te;
inoltre, da psicologa devo valutare quanto sia utile dare un consiglio ora in relazione alla richiesta portata in terapia ed al contratto terapeutico. Immaginiamo una persona che porta quale problema l’appoggiarsi agli altri, senza riuscire a far niente da sola: un esempio semplice per capire quanto un consiglio, per buono che sia, possa far danno.
La flessibilità è importante, quindi può anche presentarsi una situazione per la quale ritengo opportuno rispondere alla richiesta di un consiglio, in questo caso tuttavia ritengo sia una scelta utile in considerazione del contratto terapeutico – ed è certamente un caso sporadico.
Molte persone pensano che lo psicologo abbia capito tutto e possa fornire un consiglio ‘di sicuro effetto’, con il rischio poi di restarne molto deluse, perché soprattutto nelle relazioni (‘come posso fare perché xxxx mi ascolti di più?….’) non possiamo prevedere come gli altri reagiranno ad una nostra scelta, comunicativa o comportamentale. Ecco perché in linea di massima deve essere il paziente ad operare la scelta (ad esempio, la scelta su come comportarsi, o cosa dire), mentre lo psicologo può accompagnarlo a fare una scelta consapevole, esplorandone con lui i significati.
Il tema del consiglio dello psicologo però non si pone solo in terapia, ma anche in tutte le situazioni unidirezionali, quali video, o brevi decaloghi con buoni consigli, che vanno presi per quello che sono. Alle volte possiamo pensare che se uno psicologo scrive delle linee di comportamento, devono essere quelle migliori, ma non possiamo dimenticarci che il migliore per una persona può essere pessimo per un’altra, oppure che ciò che è meglio in una situazione può essere peggio in un’altra.
Un altro aspetto importante riguarda l’utilizzo di principi psicologici, se non di pratiche. Ad esempio, la meditazione ed il rilassamento aiutano a combattere l’ansia. Corretto. Partire da questa frase per mettersi a meditare, oppure stendersi e rilassarci, possono portarci in un vicolo cieco. Per quale motivo? Perché se sono in ansia, probabilmente non riuscirò a rilassarmi, e non so come fare a diminuire il mio livello di attivazione per permettermi di rilassarmi (altrimenti non starei leggendo quell’articolo o vedendo quel video). Dunque mi stendo imponendomi di rilassarmi, non ci riesco, mi innervosisco, forse mi giudico (‘Perché non sono capace neanche di rilassarmi?’), col risultato di stare peggio di prima. Ovviamente molte persone sono in grado di rilassarsi, ma probabilmente queste persone non avranno bisogno di leggere certi consigli, perché raramente vanno in ansia, o hanno già imparato come fare ad alleviarla.
Possono esserci delle indicazioni chiare su cosa fare per rilassarsi, ma l’esperienza mi insegna che talvolta non siamo realmente consapevoli di alcuni irrigidimenti corporei, o difficoltà di respirazione, finché qualcuno non ci insegna a riconoscerli. In altre parole, fate un bel corso di rilassamento, oppure un corso di stretching e rilassamento, e ve ne renderete conto per bene.
Un’altra indicazione molto vera è che dobbiamo dirigere i nostri pensieri lungo determinate rotte, allontanandoci da pensieri catastrofici o pessimistici. Una cosa che sostengo con fermezza è che le persone non nascono masochiste, vale a dire che non scelgono di coltivare pensieri negativi o catastrofici, ma hanno imparato a farlo, e se continuano in questo modo è perché non sanno come fare diversamente. Altrimenti, come ho detto sopra, non leggerebbero certi consigli o non verrebbero in terapia.
Voi leggereste un articolo dal titolo come imparare ad andare a cavallo, se cavalcaste da quando avete sei anni? No, immagino. Dunque perché dovrei chiedere a qualcuno di aiutarmi a staccarmi dai pensieri negativi, se non perché ci ho provato da sola senza risultato?
Perché scrivo tutto questo? Per il possibile contraccolpo dovuto all’intenzione di cambiare, seguita dallo sforzo di seguire un buon consiglio, seguita dalla constatazione di non riuscire a farlo, seguita dal possibile pensiero: evidentemente è facile e lo fanno tutti, ma io non ci riesco.
Ecco, analogamente, chiedere ad una persona di seguire un consiglio in palese contraddizione con la sua difficoltà comporta proprio questo: aggiungere frustrazione e senso di impotenza. Come chiedere ad un bambino con un deficit dell’attenzione di stare più attento. Frustrazione assicurata con malessere al seguito.
Perciò, se dovesse capitarvi di voler seguire un consiglio utile, o cambiare qualche abitudine che collegate a difficoltà e malessere, e vi accorgete di non riuscirvi, o di partire bene ma ricadere nella vecchia abitudine, ricordate che il problema non è che non ne siete capaci; sta piuttosto nella distinzione tutt’altro che banale tra cosa e come. E’ facile dire cosa cambiare, ma la vera sfida è capire come arrivarci.
Dott.ssa Valentina Cozzutto
Psicologa Psicoterapeuta a Monza (MB)