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I sogni ci affascinano, al punto che a volte tendiamo ad attribuire loro significati particolari e un po’ magici. Ad esempio, la capacità di prevedere alcuni eventi. Oppure pensiamo ci diano la risposta giusta ai problemi che stiamo affrontando, ci dicano insomma cosa dobbiamo fare.
Solitamente i sogni che ricordiamo con più facilità sono quelli che facciamo nella fase REM del sonno, fase nota anche come ‘sonno paradosso’, poiché la registrazione dell’attività cerebrale ci mostra come questa sia molto simile all’attività cerebrale della veglia, rispetto ai tracciati elettroencefalografici registrati nelle altre fasi del sonno.
Non tutti ricordano i propri sogni. Alcune persone sostengono di non sognare mai, tuttavia molto probabilmente ciò che accade è che non ricordano di averlo fatto. Perché ciò accada è di solito necessario che ci svegliamo dopo aver sognato, ed anche che ripensiamo al sogno fatto, altrimenti lo scorderemo subito. Tuttavia alcune persone sono allenate a ricordare i propri sogni cosicché ne ricorderanno parecchi. Con la diffusione della psicoanalisi, ricordare i propri sogni è diventata una capacità molto valutata e ritenuta utile per il proprio percorso analitico.
Arriviamo alla domanda che forse ci interessa di più: i sogni possono davvero esserci utili al di là della loro funzione fisiologica (peraltro non ancora chiara)? In altre parole, possiamo utilizzarli per capire qualcosa su di noi, per trovare delle risposte?
Possiamo oggi affermare non solo che i sogni non hanno un valore predittivo, ma anche che non sono una risposta pronta e completa ad alcune nostre difficoltà fornita da una parte ignota del nostro cervello, per quanto sarebbe bello fosse così, e nonostante vi siano alcuni esempi eclatanti di scienziati che hanno tratto spunti risolutivi da un loro sogno*. Personalmente non trovo nemmeno utile darne un’interpretazione piuttosto che un’altra a partire dai contenuti riferiti. E dunque?
Vi sono diversi modi di guardare ed utilizzare il sogno in psicoterapia. Alcuni terapeuti non li utilizzano affatto, non dando loro significato alcuno se non puramente fisiologico (vi sono diverse teorie che collegano l’attività onirica al consolidamento della memoria). Altri ancora possono individuare interpretazioni basate sulle libere associazioni, come da tradizione psicoanalitica; ricordiamo che secondo Freud i sogni erano desideri infantili rimossi, per individuare i quali si cercava di ricostruire il sogno latente a partire dal sogno manifesto, vale a dire ricordato al risveglio. Secondo la teoria junghiana, il sogno è una sorta di rappresentazione teatrale in cui entrano in scena diversi elementi della psiche, alcuni individuali, altri culturali (archetipi). La psicosintesi lavora molto sui sogni, anche con lavori di prosecuzione di un sogno interrotto da svegli; dunque il sogno è un’importante modo per connetterci al nostro inconscio: è infatti possibile comunicare con diverse parti nel sogno. Nella visione di Assagioli, inoltre, il lavoro sul sogno è una via per crescere ed evolverci, poiché ci mette in comunicazione con quello che chiama inconscio superiore, che racchiude intuizione, creatività, imperativi etici.
L’Analisi Transazionale, l’approccio terapeutico che io utilizzo, guarda ai sogni come ad un modo importante per accedere tanto al nostro copione, quanto ai nostri bisogni, e si avvale di tecniche prevalentemente gestaltiche. L’AT vede la persona come in continua evoluzione: di giorno in giorno facciamo esperienza di pensieri, emozioni e comportamenti che vanno ad aggiungersi all’insieme di Stati dell’Io di cui disponiamo, dove per Stato dell’Io si intende una sorta di modalità di funzionamento che mi appartiene in quanto è nata da esperienze che io ho realmente vissuto. Posso attivare uno Stato dell’Io quando lo ritengo opportuno, altre volte invece riattivo uno Stato dell’Io senza esserne consapevole, oppure lo sono ma non riesco ad avere un controllo funzionale sulle parti di me che metto ‘in azione’ (questo è uno dei motivi per cui posso provare disagio o sofferenza e voler cambiare)**.
Ricollegandoci ai sogni, il presupposto è che nel sogno noi rappresentiamo delle parti di noi, vale a dire dei nostri Stati dell’Io. Nel lavoro sul sogno dunque esaminiamo, prendendone consapevolezza ed interagendovi, le parti di noi che possiamo riconoscervi. In altre parole, se sogno mio cugino, non è necessariamente detto che quel sogno riguardi davvero lui (anche se potrebbe pure essere questo il caso); sto utilizzando mio cugino per simbolizzare una parte di me. Questo vale per qualunque elemento del sogno che noi riconosciamo come importante: un albero, un giardino, una casa, un oggetto; anche solo un’atmosfera che sentiamo essere significativa nel sogno (ad esempio, trovo molto rilevante il fatto che sia freddo e piova).
Una domanda che ci facciamo a proposito del sogno è ‘A cosa serve?’ L’ipotesi è che questo sogno rappresenti i bisogni sottostanti ad alcuni aspetti copionali. I Perls (terapeuti che hanno posto le basi della terapia della gestalt) parlavano di gestalt aperte, ovvero situazioni legate al nostro passato arcaico che necessitano di una chiusura. Con il sogno, venendo meno l’investimento sul mondo esterno, possiamo rientrare a contatto con il nostro mondo più antico, serbatoio di bisogni ed emozioni, ovvero l’insieme dei nostri Stati dell’Io Bambino (cui spesso ci si riferisce semplicemente con il Bambino).
Lavorare su un sogno in terapia diventa così innanzitutto un riappropriarci di Stati dell’Io che usualmente sono poco accessibili (o inconsci, per usare un termine più noto), comprendendo a quale esigenza copionale rispondono, e di quale importante bisogno ci parlano. Una volta che siamo rientrati in contatto con questi Stati dell’Io, abbiamo anche la possibilità di riscrivere la storia del sogno, modificando le rigide regole copionali e soddisfacendo il bisogno, o depotenziando gli Stati dell’Io Genitoriali che nel sogno intervengono e a cui reagiamo con emozioni sgradevoli o pensieri disfunzionali, dando dunque il permesso agli Stati dell’Io Bambini di ottenere ciò di cui hanno bisogno e trarre emozioni positive da questo soddisfacimento.
Ecco che un buon lavoro sul sogno può quindi costituire una parte del processo terapeutico di cambiamento del proprio copione, grazie anche alle caratteristiche del linguaggio onirico, che vanno a pescare in parti della nostra personalità cui è generalmente più difficile accedere. Una volta che abbiamo preso familiarità con il lavoro sui sogni in terapia, inoltre, è probabile che conitnueremo a tarrne buoni spunti su noi stessi, riconoscendo determinati Stati dell’Io, e traendo indicazioni da usare per ‘correggere la rotta’.
*A chi fosse interessato ad una lettura sui sogni, consiglio ‘Il meraviglioso mondo del sonno’ di Peretz Lavie, lettura peraltro molto piacevole.
**Per approfondire i concetti di base dell’Analisi Transazionale, consiglio il breve testo di F.Ricardi, ‘L’analisi transazionale. Il sé e l’altro’, ed. Xenia.
Dott.ssa Valentina Cozzutto
Psicologa Psicoterapeuta a Monza (MB)