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I sintomi ossessivi – compulsivi sono tra i più strani ed incomprensibili, data la loro apparente irrazionalità. Sappiamo però che nel vissuto di una persona, alle volte, molto più della razionalità conta la costruzione dei significati cui si ricorre per dare un senso a vissuti dolorosi.
La parola ossessione viene frequentemente usata per indicare un pensiero fisso, un interesse costante di cui fatichiamo a liberarci. La definizione clinica di ossessione è un po’ diversa: “un tentativo di distanziare un sentimento e di svolgere un’intellettualizzazione piuttosto che sentire le emozioni, specialmente tra gli individui più perfezionisti e cerebrali” come scrive Erskine*. In altre parole, un sentimento viene messo da parte al fine di non sentirlo, tramite un pensiero o una fantasia che aiutano la persona ad allontanarsene. Continua Erskine:
Molti di questo clienti riferiscono che i propri tentativi infantili di manifestare soggettività ed affetto erano etichettati come cattivi o immaturi o non razionali. Di conseguenza, molti clienti vengono assorbiti da fantasie ripetitive o ossessioni ricorrenti (…) Sembrano essere internamente soggiogati dalla propria ruminazione e spesso hanno paura dei propri sentimenti e pensieri, specialmente se sono aggressivi.
I pensieri e le fantasie ossessivi diventano ricorrenti ed intrusivi: non si riesce più a fermarli, e più si cerca un modo per eliminarli o smorzarli, più si rafforzano. Il tentativo di dimostrare a se stessi la loro assurdità ed inutilità è del tutto vano.
Abbiamo visto cos’è l’ossessione; vediamo ora cos’è la compulsione. Tipicamente il bisogno coercitivo di compiere un determinato gesto più volte, o in corrispondenza di una determinata azione, o di compiere una certa azione in un determinato modo e solo in quel modo. Ad esempio:
La spinta a questi comportamenti è coercitiva, significa cioè che non posso sottrarmici, pena il provare una profonda angoscia che non riesco a placare. Perciò, se sono costretto ad uscire in fretta la mattina per un’emergenza e non posso seguire il mio rituale, sto malissimo, o peggio ancora, eseguo il rituale nonostante l’urgenza perché altrimenti non ce la faccio ad uscire.
Perché succede? Il meccanismo di base è lo stesso sopra esposto per l’ossessione, ma il fatto rilevante è che questa persona, sia per predisposizione che per circostanze ambientali (sociali, familiari), struttura una risposta adattiva ad una situazione complessa e dolorosa usando questa modalità: risponde ad un impulso emotivo per qualche motivo vietato o vissuto come illecito con un rituale comportamentale, basato su un pensiero o una fantasia sviluppata nel momento della soppressione.
In altre parole, provo un impulso emotivo molto forte ma non posso esprimerlo in quanto mi metterebbe a rischio di un’azione di ripicca/punizione, o in quanto nel mio contesto familiare quell’impulso è considerato immorale ed inammissibile ed esprimerlo mi costerebbe la perdita dell’amore; nel reprimere l’impulso ricorro ad un pensiero cui associo un’azione. L’azione ha momentaneamente successo nell’allontanare l’angoscia e diventa una soluzione al problema, in quanto tale tuttavia non mi sento più al sicuro se non ricorro a quell’azione. L’azione che mi ha permesso di superare il primo problema diventa a sua volta un nuovo problema, perché se non la metto più in atto mi sento in pericolo.
Perché ricorrere ad un pensiero ossessivo e ad un comportamento compulsivo per superare il momento difficile? Facciamo un esempio. Sono una ragazzina che sta subendo una punizione dolorosa da parte di un genitore; vorrei esprimere rabbia assieme al dolore, ma so che questo porterebbe ad un aggravarsi della punizione ed inoltre temo che il mio genitore mi rifiuti. Allora uso un pensiero che mi distolga dalla situazione aiutandomi a sopportarla, ad esempio: devo preparare la cartella per domani, mi servono il quaderno di italiano ano, il diario, il libro di matematica ecc. Ripeto la lista tra me e me finché l’aggressione finisce. Faccio lo zaino e controllo ci sia tutto, comportamento che mi aiuta a tollerare l’angoscia che provo dopo quanto accaduto. Posso andare a scuola. Domani ricontrollo lo zaino due volte, magari tre, così non sento la paura di un’altra aggressione. E via dicendo.
È un esempio un po’ forte, non è detto vi debbano per forza essere episodi di forte aggressività: nel nostro caso, la punizione dolorosa potrebbe ben essere un rimprovero svalutante, del tipo ‘Sei una scema, ti dimentichi tutto! Non sei capace di fare niente! Non combinerai niente nella tua vita!’, che nell’educazione di un tempo non era cosa rara, ma può essere estremamente dolorosa in una famiglia in cui la ribellione viene ripagata con altra svalutazione, o peggio ancora con il silenzio e l’essere ignorati.
La domanda che segue a questo punto è: come lo supero? Sapere perché ho sviluppato questa sintomatologia è sufficiente a liberarmene? Le informazioni che otteniamo, relative al nostro funzionamento psichico, hanno l’utilità di darci una spiegazione, se vogliamo, che ci aiuti a sentirci meno strani, meno malati, che ci restituisca un modo di guardare a noi stessi più comprensivo. Il cambiamento richiede azione oltre che comprensione, uscendo dal nostro modo abituale di vedere la realtà e sperimentando altre alternative.
Provare per credere.
*L’analisi transazionale nella psicoterapia contemporanea, R.G. Erskine (Ed), Las – Roma.
Dott.ssa Valentina Cozzutto
Psicologa Psicoterapeuta a Monza (MB)