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L’impostazione che nel tempo noi stessi abbiamo dato alla nostra vita è quel che usiamo chiamare copione.
F. Ricardi, ‘L’esperienza del tempo’ (pag. 78).
In modo costruttivista, possiamo affermare che la nostra vita, o l’impostazione che ad essa abbiamo dato, è un insieme di significati. Il modo in cui viviamo è segnato dalla convinzione indiscussa che non sia possibile assegnarne degli altri; la costruzione dei significati è considerata immodificabile, nel senso che non vediamo proprio la possibilità di metterla in discussione.
Avete mai affrontato uno di quei rompicapi apparentemente irrisolvibili, che tuttavia appaiono improvvisamente banali una volta scoperta la soluzione? Come questo, piuttosto noto: bisogna unire tutti i puntini senza staccare la penna dal foglio.
Chi non lo conosce si può cimentare, la soluzione si trova facilmente su Google. Quando siamo dentro ad un preciso sistema di riferimento, non riusciamo ad immaginarne un altro. Dobbiamo esaminare la situazione da fuori, passando ad un livello di analisi differente*. Così, quando siamo all’interno del nostro copione, non riusciamo ad immaginare di cambiarlo, in altre parole di avere altre opzioni. Perché?
E’ qualcosa di più di un problema cognitivo. Costruiamo il copione come un sistema che ci protegga, in qualche modo, dando senso agli eventi, soprattutto quelli dolorosi; è inoltre qualcosa che costruiamo a partire dalla tenerissima infanzia, quando le nostre capacità di analisi sono necessariamente limitate, mentre i nostri bisogni emotivi sono, se mai possibile, molto maggiori a quelli di una persona adulta. Sappiamo bene infatti che l’accoglimento dei bisogni dei bambini, il riconoscimento della loro persona con le sue caratteristiche, sono fondamentali alla crescita, se non alla sopravvivenza. Insomma, i bambini crescono a pane ed amore, ed una grave deprivazione dell’uno o dell’altro conduce a conseguenze gravissime sullo sviluppo. La costruzione del copione in qualche modo chiude i bisogni insoddisfatti dando loro una spiegazione a misura di bambino. Ci fornisce una cornice all’interno della quale salvare ciò che abbiamo avuto, e motivare ciò che non abbiamo avuto, traendo delle conclusioni che solitamente vanno a svalutare noi o le nostre capacità, a beneficio di chi ci dà amore ed approvazione.
Se un genitore non accoglie il bisogno di essere confortato di un bambino, insomma, la conclusione non sarà ‘mia madre o mio padre non è una persona matura, non era pronta a fare il genitore, ha i suoi problemi da affrontare’, bensì ‘evidentemente bisogna cavarsela da soli’. Spiegazione concepibile da un bambino piccolo, per cui la priorità è proteggere l’immagine genitoriale, da cui, poco o tanto che sia, arriva amore e riconoscimento.
Citando ancora Ricardi,
La chiusura cognitiva diventa la chiave di interpretazione delle proprie esperienze vissute e al tempo stesso lo schema in base al quale si progettano, inconsapevolmente, quelle future.
(pag.79)
In altre parole, una volta che abbiamo costruito un sistema all’interno del quale dare senso alle nostre esperienze, vi cresciamo dentro, filtrando tutto ciò che ci accade all’interno di esso, e muovendoci negli eventi quotidiani secondo le sue regole ed i suoi sistemi di attribuzione di significato. Tutto ciò che mi accade, e tutto ciò che progetto di fare, deve quadrare all’interno del mio copione; se così non fosse, mi ritroverei a dover ricostruire da capo, e soprattutto mi scoprirei priv* di certezze. Immaginate di tornare a casa dopo una giornata di lavoro, e scoprire che è tutto all’aria: in cucina non funziona nulla, il frigo è pieno di roba che non ho mai visto né mangiato, il letto non c’è più, il divano è gambe all’aria, e via dicendo. Se voglio mangiare, lavarmi, riposare e dormire devo risistemare e soprattutto ri-arrangiare tutto quello che ho. Un lavoraccio.
Potrei tuttavia scoprire che quel materasso mi faceva venire il mal di schiena, ora che ho dovuto procurarmene un altro, magari più duro; che c’è un modello di poltrona che preferisco di molto al mio divano; che il mio frigo prima era troppo pieno/troppo vuoto. Il punto è che finché stavo nella mia routine, non me ne rendevo conto.
Uscire da un copione è un viaggio nell’ignoto. Come tale, fa paura, soprattutto quando quel copione mi ha protetto da dolore e sofferenza nei difficili anni in cui sono cresciut*. Richiede di rimettere in discussione il sistema di significati che ho costruito nella mia vita, con i quali fino ad oggi ho filtrato tutto ciò che mi accadeva. Non più conferme, ma apertura a diverse letture, e diverse opzioni.
La consapevolezza è una strada complessa, ma mai noiosa, e certamente ricca di opzioni.
*vedi ‘L’arte del cambiamento’, di Nardone e Watzlawick, Ponte alle Grazie, pos.499.
Dott.ssa Valentina Cozzutto
Psicologa Psicoterapeuta a Monza (MB)